Cassazione – Sentenza 23 gennaio 2015, n. 1246 Licenziamento per insubordinazione – Senza preavviso Dipendente – Aggressione – Minacce

Svolgimento del processo
1. Con ricorso depositato il 26.4.2010 L.S.C. proponeva appello avverso la sentenza del tribunale di Vasto n. 400 del 30 ottobre 2009, che aveva rigettato il suo ricorso volto a sentir dichiarare l’illegittimità del licenziamento disciplinare irrogatogli il 30.10.2003 dalla società datrice di lavoro P. Italia s.p.a. con le conseguenze di legge.
Si doleva dell’erroneità della decisione, che aveva ritenuto che la sua condotta integrasse le ipotesi, previste dall’art. 72 CCNL per il settore del vetro, di insubordinazione, consistente in “grave infrazione alla disciplina ed alla diligenza del lavoro”, e di “azioni delittuose ai termini di legge” con ricorso a vie di fatto, per effetto di una erronea rappresentazione dell’episodio in questione, all’uopo evidenziando che, poi, il C., suo superiore, aveva smentito di avergli impartito ordini e che egli gli avesse opposto un rifiuto, dovendosi ritenere non attendibile la relazione scritta del D., Capo fabbrica.
Non aveva poi il primo giudice considerato la sproporzione tra infrazione disciplinare e la sanzione mai preceduta da richiami di sorta in 15 anni di servizio, dovendo invece considerarsi che egli era anche afflitto da sindrome depressiva e da una situazione di disagio a livello personale e che la sua condotta non aveva arrecato alcun pregiudizio alla società appellata.
La società appellata, nel costituirsi in giudizio, contestava gli avversi assunti concludendo per il rigetto dell’appello.
2. La corte d’appello di L’Aquila con sentenza dell’11 novembre 2010- 7 gennaio 2011 ha rigettato l’impugnazione confermando la pronuncia di primo grado; ha compensato tra le parti le spese del grado.
3. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione l’originario ricorrente con tre motivi.
Resiste con controricorso la parte intimata.

Motivi della decisione
1. Il ricorso è articolato in tre motivi.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 72 del contratto collettivo nazionale del settore vetro del 29 aprile 1999, nonché violazione degli artt. 1362, 2119 e 2118 c.c.. In particolare il ricorrente contesta che il comportamento addebitatogli potesse inquadrarsi nella fattispecie dell’insubordinazione. D’altra parte il contratto collettivo di settore individua una fattispecie complessa, ossia il diverbio litigioso seguito dalle vie di fatto. La ricostruzione della condotta contestatagli portava invece ad escludere che nella specie fossero ravvisabili “vie di fatto”, ossia percosse. Infatti le sole ingiurie e minacce non potevano integrare gli estremi della fattispecie contrattuale.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 2106 c.c.
Erroneamente la corte d’appello ha ritenuto che il diverbio litigioso e la discussione sulle mansioni, impropriamente qualificati come insubordinazione, avessero leso irrimediabilmente il vincolo fiduciario.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2119, 2118 e 1362 c.c. nonché vizio di motivazione illogica e insufficiente quanto alla qualificazione del comportamento addebitatogli.
2. Il ricorso – i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi – è infondato.
3. Deve in proposito ribadirsi che il controllo operato dal giudice di legittimità sulla motivazione della sentenza impugnata – prima della recente modifica del n. 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c. – è esterno, incidendo sulla sufficienza e non contraddittorietà della motivazione stessa e che anche le censure devono esser formulate in tal modo, ossia devono essere dirette a dedurre l’insufficienza o la contraddittorietà della motivazione e non già ad offrire una più corretta o solo più plausibile ricostruzione della fattispecie concreta in mera contrapposizione a quella accolta dalla sentenza impugnata. Più puntualmente può dirsi che il vizio di insufficiente motivazione di una sentenza sussiste allorché essa mostri, nei suo insieme, una obiettiva deficienza del criterio logico che ha condotto il giudice di merito alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione, anche esso denunziabile in cassazione, presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione del procedimento logico- giuridico posto alla base della decisione adottata; tali vizi non sussistono quando il giudice abbia semplicemente attribuito agli elementi vagliati e alle risultanze di causa un significato non conforme alle attese ed alle deduzioni della parte. La denunzia del vizio di motivazione, sotto entrambi i profili appena indicati dell’insufficienza o della contraddittorietà, non conferisce a questa Corte il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, ma solo quello di controllare – sotto il profilo della continuità logico-formale della concatenazione delle proposizioni e della coerenza di ciascuna di esse con tutte le altre, in relazione ad un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio – le argomentazioni svolte dal giudice di merito.
4. Nella specie la Corte d’appello, con motivazione ampiamente sufficiente e nient’affatto contraddittorio, ha correttamente valutato i fatti di causa.
Il giorno 15 ottobre 2003 il C., in occasione del cambio di turno s i rifiutava di ottemperare alle disposizioni date dal conduttore di linea; contestava vivacemente tali disposizioni sino a costringere all’intervento il responsabile dello stabilimento; in presenza di quest’ultimo, che gli chiedeva spiegazioni, e di altri, il C., anziché spiegare i motivi del rifiuto, aggrediva verbalmente con minacce il conduttore di linea con frasi quali “ti spacco il…” “ti ammazzo”, “vieni fuori se hai il coraggio”; a tali frasi faceva seguire “vie di fatto”, alzando le mani sul conduttore di linea e spingendolo.
Tali fatti – secondo la Corte d’appello – sono sussumibili nella fattispecie di cui all’art. 72 CCNL Vetro, che, sotto la rubrica.”licenziamento per punizione”, prevede che “nel provvedimento di licenziamento senza preavviso incorre il lavoratore che commetta infrazioni alla disciplina ed alla diligenza del lavoro, che provochi all’Azienda grave nocumento morale o materiale o che compia, in connessione con lo svolgimento di lavoro, azioni delittuose a termini di legge” e a titolo esemplificativo considera sia l’insubordinazione verso superiori sia il diverbio litigioso seguito da vie di fatto e/o rissa nello stabilimento.
La condotta del C. è stata ricondotta dalla Corte d’appello nella fattispecie sia dell’insubordinazione, sia del diverbio litigioso seguito da vie di fatto; tale è stato il comportamento oltraggioso, intimidatorio e violento del C. concretatosi con lo strattonamento e spintonamento del conduttore di linea C. al cospetto del responsabile dello stabilimento.
Anche la proporzionalità della sanzione espulsiva agli addebiti contestati è stata adeguatamente motivata dalla Corte d’appello, come del resto aveva già fatto il primo giudice (cfr. peraltro Cass., sez. lav., 6 giugno 2014, n. 12806, secondo cui la sanzione espulsiva è proporzionata alla gravità dell’addebito anche in presenza di un unico episodio di insubordinazione).
Si tratta di una tipica valutazione di merito assistita da sufficiente e non contraddittoria motivazione, come tale non censurabile in sede di legittimità.
5. Il ricorso va quindi rigettato.
Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in euro 100,00 (cento) per esborsi ed in euro 5.000,00 (cinquemila) per compensi d’avvocato, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.