Cassazione – Sentenza 21 maggio 2012, n. 7989 – Licenziamento – Giustificato motivo oggettivo – Impossibilità di repêchage – Onere della prova – Datore – Organigramma produttivo – Materiale probatorio acquisito – Insussistenza – Legittimità

Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Roma, in funzione di Giudice del lavoro, E.P. esponeva di aver lavorato sin dall’1/10/73 alle dipendenze della C. e, quindi, della S. srl – denominata dall’1/10/87 Centro Servizi C. srl-, cui la prima aveva ceduto il ramo d’azienda avente ad oggetto la tenuta della contabilità e l’espletamento dei relativi adempimenti in favore delle imprese associate di Roma e Provincia. Aggiungeva di essere stato inquadrato dapprima nel V livello del CCNL Terziario, quindi nel IV ed, infine, dal 1990 nel III, operando sempre presso l’ufficio contabilità e paghe.
Soggiungeva di avere svolto mansioni di addetto al ritiro e riconsegna della documentazione contabile presso gli esercizi commerciali e riscossione dei corrispettivi, di trattazione delle pratiche relative al contenzioso tributario delle imprese clienti di Roma presso i vari Uffici Pubblici coinvolti, di segreteria presso l’Ufficio amministrativo nelle ore pomeridiane, e di aver dovuto, nell’espletamento delle mansioni di riscossione, costantemente maneggiare danaro, con conseguente obbligo di rendiconto e responsabilità per gli ammanchi, senza tuttavia ricevere la relativa indennità e senza ricevere neppure la diaria prevista dal CCNL per le missioni svolte fuori sede.
Esponeva, ancora, che poco dopo l’insediamento di I.R., cui alla fine del 2000 era stata affidata la responsabilità organizzativa dell’intera azienda, le sue condizioni di lavoro erano andate progressivamente a peggiorare, sia sotto il profilo delle mansioni assegnategli che sotto quello logistico, al punto da farlo cadere in un diagnosticato “stato ansioso depressivo reattivo con tendenza alla somatizzazione”, con prescrizione di terapia farmacologica mirata ed un periodo di riposo, al termine del quale, rientrato al lavoro il 9 luglio 2004, riceveva lettera di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, indicato nella totale soppressione della posizione di lavoro coperta.
Tanto premesso, chiedeva la condanna della società datrice al pagamento, in suo favore, della somma di € 7.031,73, oltre accessori, a titolo di indennità maneggio denaro e diaria per le missioni svolte fuori la sede di lavoro, risarcimento dei danni per il demansionamento subito e di quelli ulteriori di natura non patrimoniale compreso il danno biologico, oltre al danno esistenziale.
Chiedeva ancora che, accertata e dichiarata la nullità e/o illegittimità del licenziamento a lui irrogato con lettera datata 9 luglio 2004 e acclarata la applicabilità alla fattispecie della ed. tutela reale, venisse ordinata alla società datrice ai sensi dell’art. 18 legge 300/70, occorrendo anche in combinato disposto con l’art. 3 legge 108/90, l’immediata sua reintegrazione nel posto di lavoro precedentemente occupato e comunque in mansioni compatibili con il suo livello di inquadramento (III CCNL Commercio), condannandola altresì a corrispondergli una indennità pari a tutte le retribuzioni globali di fatto (calcolata sulla base mensile di euro 1.891,33) maturate a far data dall’intervenuto licenziamento e sino alla effettiva reintegra, oltre accessori e versamento dei contributi previdenziali.
Costituitisi, sia la Centro Servizi C. srl sia I.R. contestavano la domanda con articolate argomentazioni.
Espletata prova testimoniale e ctu medico-legale sulla persona del lavoratore, l’adito Tribunale dichiarava la illegittimità dell’intimato licenziamento, rilevando, per un verso, che, contrariamente a quanto asserito nella comunicazione di recesso, solo alcune delle mansioni svolte dal P. erano state soppresse in quanto esternalizzate, mentre le restanti risultavano —sulla base del materiale probatorio acquisito – essere state affidate ad altra dipendente; osservando, per altro verso, che la società resistente non aveva in alcun modo dimostrato la impossibilità di ricollocare utilmente il lavoratore nell’ambito della organizzazione aziendale.
Riteneva tuttavia il primo Giudice che non poteva essere applicata la cd. tutela reale apprestata dall’art. 18 legge 300/70 — richiesta in via principale dalla difesa di parte ricorrente — in quanto non risultava provato il prescritto requisito dimensionale ed, in particolare, che la sede di Roma e quella di Trevignano Romano costituissero un’unica unità produttiva; per l’effetto, ed in applicazione della cd. tutela obbligatoria di cui all’art. 8 legge 604/66, veniva determinata in 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto di fatto l’indennità risarcitoria ivi prevista in ipotesi di mancato adempimento all’ordine dì riassunzione del lavoratore entro 3 giorni (come poi effettivamente verificatosi).
Il primo Giudice rigettava invece tutte le altre domande (differenze retributive, indennità maneggio denaro, risarcimento del danno alla professionalità e risarcimento dei danni non patrimoniali) proposte dal lavoratore.
Avverso tale decisione proponeva appello il lavoratore parzialmente soccombente, al fine di vedersi accogliere tutti i capi della domanda già proposti in primo grado e rigettati in sede decisionale.
Si costituivano gli appellati Centro Servizi C. srl ed I.R., con un unico atto, contestando in rito e nel merito il gravame e proponendo appello incidentale avverso quella parte della sentenza impugnata che aveva ritenuto non provato il giustificato motivo oggettivo posto a base del provvedimento espulsivo. Con sentenza del 3 dicembre 2009-26 marzo 2010, la Corte d’appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto dal P. annullava il licenziamento intimatogli per non avere la società datrice correttamente adempiuto agli oneri probatori su di essa incombenti in materia di recesso per giustificato motivo oggettivo, ordinando alla società appellante la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, con condanna al pagamento, in favore di quest’ultimo, di una indennità commisurata alle retribuzioni globali di fatto maturate dal dì del recesso sino a quello di effettiva reintegrazione, oltre accessori di legge; e ciò per non avere la società datrice adempiuto agli oneri probatori pure su di essa incombenti in materia di non applicazione della tutela reale, a fronte peraltro, nel caso di specie, di un materiale probatorio acquisito in giudizio dal quale emergevano una pluralità di convergenti elementi che denotavano come la sede di Roma e le altre sedi e filiali della Provincia costituissero un’unica Unità produttiva così sussistendo il requisito dimensionale richiesto dall’art. 18 legge 300/70.
In grado di appello la società datrice veniva altresì condannata al pagamento, in favore del lavoratore appellante della complessiva somma di € 2.638,08 a titolo di differenze retributive ed indennità per permessi non goduti, con gli accessori di legge; confermandosi così per il resto la sentenza di primo grado giacché veniva rigettata ogni altra domanda proposta dall’appellante principale e tutte quelle proposte dagli appellanti incidentali. Per la cassazione di tale pronuncia ricorrono la società Centro Servizi C. srl ed I.R. con tre motivi.
Resiste E.P. con controricorso.
Motivi della decisione
Preliminarmente va dichiarata la inammissibilità del ricorso proposto da I.R. per difetto di interesse, essendo stato escluso in sede di appello ogni fondamento alla richiesta del P. dei danni non patrimoniali attribuibili allo stesso.
Con il primo motivo la società ricorrente lamenta che il Giudice a quo, abbia ritenuto sussistere il giustificato motivo oggettivo per essere venuta meno la società datrice di lavoro all’onere di provare la possibilità di repechage del lavoratore, senza considerare che a quest’ultimo spettava l’onere di individuare l’esistenza di realtà idonee ad una sua possibile collocazione.
Il motivo è infondato.
Giova rammentare che, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, compete al giudice -che non può, invece, sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. – il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte; tale prova, tuttavia, non deve essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore che impugni il licenziamento una collaborazione nell’accertamento di un possibile “repechage”, mediante l’allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato, e conseguendo a tale allegazione l’onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti (explurimis, Cass. n. 3040/2011).
Nel caso in esame, correttamente la Corte di Appello, condividendo la statuizione del primo Giudice nella parte in cui aveva dichiarato la illegittimità del licenziamento intimato al P., ha tenuto in primo luogo a precisare come costituisse circostanza pacifica quella secondo cui la Centro Servizi C. srl, oltre alla sede di Roma, aveva anche altre sedi secondarie (2, ossia Albano Laziale e Trevignano Romano) e filiali (7) dislocate nella Provincia, presso i quali operavano suoi dipendenti, la cui gestione, per quanto concerneva assunzioni, ferie, permessi, etc, era accentrata presso la sede romana. Tali sedi erano gestite tutte in prima persona dalla Rag.ra V.C. dipendente della Centro Servizi”.
Ha, quindi, coerentemente argomentato che, tenuto conto di ciò, era onere della Società, al fine di consentire l’accertamento, da parte del giudice, dell’impossibilità di mantenere il lavoratore licenziato nell’organizzazione produttiva aziendale, anzitutto allegare specifici elementi atti a dar conto di come tale organizzazione fosse in concreto articolata ed, in particolare, di quali fossero le posizioni di lavoro stabilmente presenti in ciascuna sede o ufficio e che potessero ritenersi necessarie, secondo un criterio di normale produttività dell’impresa.
Infatti -prosegue la Corte-, in assenza di uno specifico organigramma produttivo, risultava preclusa a priori qualsiasi indagine intesa a verificare se all’epoca del licenziamento fossero o meno presenti posti di lavoro liberi ai quali il lavoratore licenziato avrebbe potuto essere adibito, eventualmente anche presso sedi o uffici diversi dalla sede di Roma, non risultando né dedotto nò provato un preventivo rifiuto del P. di trasferirsi altrove.
Pertanto, non avendo la datrice di lavoro soddisfatto tale onere, nonostante il P. avesse specificamente dedotto nel ricorso introduttivo che la società aveva una sede principale in Roma e numerose filiali dislocate nella Provincia romana, i rilievi della società sulla specifica questione non potevano essere accolti.
Dunque, nessuna insufficienza e/o contraddittorietà è dato rinvenire nella motivazione della Corte di merito, specie se si considera l’ulteriore argomento a sostegno del decisum, laddove si osserva che il mancato adempimento dell’onere di dimostrare una diversa utilizzazione del P. nell’ambito dell’intera struttura aziendale, comprensiva delle sue varie articolazioni, risultava ancora più evidente considerando che: a) successivamente al licenziamento del predetto, venne assunta nel settembre 2004 dipendente con il medesimo suo inquadramento, ossia S.A. mentre in epoca coincidente con l’impugnato licenziamento, ossia il 17 giugno 2004, venne assunta altra dipendente, P.R. anch’ella inquadrata nel III livello ed assegnata alla sede di Trevigiano; b) nel corso del rapporto il P. aveva svolto mansioni di diversa natura, sì da risultare agevolmente fungibile ed utilizzabile in diverse posizioni lavorative.
Con il secondo motivo la società ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 18 legge n. 300/1970, 1 legge 11/5/1990 n. 108 e 2697 c.c. nonché insufficiente e/o contraddittoria motivazione, lamenta una errata interpretazione, da parte della Corte di merito, dell’orientamento maggioritario in materia di assolvimento dell’onere probatorio incombente sulla parte datoriale, che abbia risolto il rapporto di lavoro con licenziamento, in ordine alla sussistenza o meno del requisito dimensionale per la applicazione della cd. tutela reale, qualora questa risulti — come nel caso di specie — richiesta dal lavoratore licenziato; così facendo la Corte sarebbe incorsa in una insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Anche tale motivo risulta del tutto infondato.
A tale proposito si rammenta l’arresto delle SS.UU. di questa Corte (sent. n. 141/2006) secondo il quale, una volta annullato il recesso datoriale, atti costitutivi del diritto soggettivo del lavoratore a riprendere l’attività e, sul piano processuale, dell’azione di impugnazione del licenziamento, sono esclusivamente l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato e l’illegittimità dell’atto espulsivo, mentre le dimensioni dell’impresa, se inferiori ai limiti dell’art. 18 Stat. Lav., costituirebbero, insieme al giustificato motivo del licenziamento (art. 5 I. 604/1966), fatti impeditivi del diritto soggettivo dedotto in giudizio e dovrebbero essere perciò provati dal datore di lavoro; solo con l’assolvimento di quest’onere probatorio il datore dimostrerebbe che l’inadempimento degli obblighi derivatigli dal contratto di lavoro non é a lui imputabile (art. 1218 c.c.) e che comunque il diritto del lavoratore a riprendere il suo posto non sussiste, con conseguente necessità di ridurre il rimedio al risarcimento pecuniario.
Ora, nel caso di specie, la Corte di Appello ha analiticamente motivato nella sua decisione le ragioni per le quali ha ritenuto che la società oggi ricorrente non abbia soddisfatto tale onere probatorio, così dovendo trovare applicazione le disposizioni di cui all’art. 18 Stat. Lav.
Ha, infatti, osservato la Corte che dal documento 5 allegato al fascicolo di parte ricorrente, rilasciato dalla Centro Servizi Srl al P. ai fini della richiesta di iscrizione nelle liste di mobilità ai sensi dell’art. 4 legge n. 236/93, si evinceva che «l’organico medio aziendale nel semestre antecedente al licenziamento era pari a 19 unità”.
A fronte di tale dichiarazione era onere della Società provare con estremo rigore che la sede romana e le ulteriori articolazioni presenti nella provincia non costituissero un’unica unità produttiva, essendo pacifico il principio secondo cui, ai fini dell’accertamento del requisito dimensionale richiesto per l’applicabilità dell’art. 18 della legge 300 del 1970, ove una articolazione aziendale sia priva di autonomia, il numero dei relativi dipendenti va sommato a quello dei lavoratori operanti presso la unità produttiva a cui la medesima fa capo, anche se ubicata in un altro comune (v. tra le altre, Cass. 10/11/97 n. 11092; Cass. 4/10/04 n. 19837).
Tale onere -ad avviso del Giudice a quo- non era stato assolto dalla Centro Servizi Srl emergendo, anzi, dal materiale probatorio acquisito una serie di concordanti significativi elementi tali da indurre a ritenere che le ulteriori sedi e filiali dislocate nella provincia di Roma non fossero altro che mere articolazioni aziendali facenti parte di un’unica ed unitaria organizzazione aziendale avente la sua sede decisionale presso la sede di Roma, tenuto anche conto che, per costante giurisprudenza, per unità produttiva deve intendersi non ogni sede, stabilimento, ufficio o reparto dell’impresa, ancorché dotati di una certa autonomia amministrativa, ma soltanto la più consistente e vasta entità aziendale che eventualmente articolata in organismi minori anche non ubicati nel territorio del medesimo comune, si caratterizzi per condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica ed amministrativa (v. Cass. 19837/04; Cass. 11092/97 cit; Cass. 20/7/01 n. 9881).
A sostegno dell’assunto la Corte territoriale ha ribadito che tutta la gestione delle varie articolazioni provinciali era accentrata presso la sede di Roma ove venivano decise le assunzioni; autorizzate le ferie, permessi e trasferte fuori sede, disposte le direttive volte a disciplinare l’orario di lavoro, l’uso del badge, l’esecuzione di lavoro straordinario ecc.
Inoltre, per stessa ammissione della Società “la sede di Trevignano, come tutte le altre in seguito, è stata gestita in prima persona dalla rag. V.C. destinataria dell’ordine di servizio interno del 7/4/2000, a firma dell’amministratore delegato M.G. né le varie articolazioni provinciali erano abilitate alla emissione delle fatture relative alle prestazioni rese ai clienti. La decisione impugnata ha infatti analiticamente e congniamente precisato in motivazione le risultanze probatorie acquisite al processo dalle quali il Collegio ha attinto il proprio convincimento in ordine al mancato adempimento da parte della società datrice dell’onere probatorio.
Non è quindi sindacabile la motivazione della corte di appello che si è attenuta ai principi di diritto espressi in materia da questa Corte e, pertanto, anche il secondo motivo di ricorso è -come sopra anticipato- privo di fondamento. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta che la Corte d’appello non avrebbe sufficientemente motivato circa gli effetti della messa in liquidazione della società, ai fini della decisione.
Il motivo è infondato, avendo la sentenza adeguatamente argomentato sul punto, osservando correttamente che non poteva considerarsi circostanza preclusiva all’applicabilità della tutela di cui all’art. 18 citato la sopravvenuta messa in liquidazione della Società, che di per sé non comporta né disgregazione del patrimonio aziendale né cessazione dell’attività, che deve quanto meno proseguire al fine di pervenire alla definizione dei rapporti alla medesima facenti capo. Così decidendo la Corte d’appello si è uniformata all’orientamento di questa Corte, secondo cui la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro può essere disposta anche nei confronti di una società posta in liquidazione, allorché non risulti avvenuta la cessazione definitiva dell’attività sociale e l’azzeramento effettivo dell’organico del personale (Cass. n. 2983/2011), Per quanto precede il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in €. 50,00= oltre €. 3.000,00 per onorari ed oltre spese generali, IVA e CPA