Cassazione – Sentenza 15 maggio 2012, n. 7511 – Licenziamento disciplinare – Principio dell’immodificabilità della contestazione disciplinare.

Svolgimento del processo

La società S. s.r.l., in liquidazione, proponeva appello avverso la sentenza del 28 dicembre 2006 con la quale il Tribunale di Cosenza l’aveva condannata a reintegrare il dipendente C.L. nel suo posto di lavoro, con le conseguenze patrimoniali di cui all’art. 18 L. n. 300 del 1970, nonché al pagamento della somma ivi indicata, a titolo di differenze retributive, oltre accessori di legge.

Con l’atto di gravame l’appellante deduceva che: 1) non sussisteva il requisito dimensionale necessario per l’applicazione della tutela reale, avendo l’impresa occupato sempre, sia all’epoca dei fatti che nel corso dell’intero suo esercizio, un numero di dipendenti inferiore a quindici, come comprovato dal libro paga e fogli presenze prodotti nell’odierno giudizio; 2) l’unico licenziamento posto in essere nei confronti del dipendente era quello irrogato per iscritto in data 1.3.2001 per assenza ingiustificata di oltre tre giorni, del tutto legittimo essendo il C. mancato dal posto di lavoro dal 21 febbraio fino al 1° marzo 2001; 3) le prove testimoniali, se correttamente valutate, non dimostravano che il rapporto di lavoro tra le parti si era instaurato in data 9.4.1999 ossia prima della formale assunzione avvenuta in data 1.9.1999; 4) era erronea la quantificazione delle differenze retributive, non avendo il C. fornito prova di lavoro straordinario.

Viceversa la documentazione prodotta era idonea a comprovare il pagamento di tutte le spettanze in relazione alla qualifica posseduta.

Concludeva, pertanto, per la riforma della sentenza e rigetto della domanda proposta dal C.

Quest’ultimo si costituiva in giudizio, contestando la fondatezza dei motivi di gravame e chiedendone il rigetto. Faceva altresì rilevare che il libro matricola non era stato prodotto in primo grado e che era inammissibile la produzione documentale effettuata in appello.

La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza depositata il 29 luglio 2009, respingeva il gravame. Propone ricorso per cassazione la società S., affidato a cinque motivi.

Il C. è rimasto intimato.

Motivi della decisione

Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata della presente sentenza.

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 18 L n. 300 del 1970; 3, comma 1, del d.l. 30 ottobre 1984 n.726, convertito in L. 19 dicembre 1984 n. 863; 2697 c.c.; 115 e 116 c.p.c., oltre ad omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Si doleva la ricorrente che la corte di merito non aveva affatto valutato la circostanza, dedotta sia in primo grado che nel giudizio di appello, che tra le parti sussisteva, al momento del licenziamento, un contratto di formazione e lavoro, stipulato il 1 “settembre 2009 e con scadenza al 31 agosto 2001; che trattandosi dunque di contratto a tempo determinato il licenziamento del marzo 2001 non poteva condurre alle conseguenze di cui all’art. 18 L.n. 300 del 1970.

Il motivo è inammissibile.

Ed invero la ricorrente non chiarisce, in contrasto col principio di autosufficienza (cfr. Cass. sez.un. 3 novembre 2011 n. 22726; da ultimo Cass. 7 febbraio 2012 n.1716), in quale sede ed in che modo la questione sia stata sottoposta al giudice del gravame, che non ne fa alcuna menzione anche nella chiara elencazione dei motivi di appello proposti dalla società.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 151 del c.c.n.l., “applicabile ratione temporis”, per i dipendenti da aziende del commercio, servizi e terziario, secondo cui doveva ritenersi legittimo “il licenziamento disciplinare senza preavviso per le seguenti mancanze: assenza ingiustificata di oltre tre giorni nell’anno solare”.

Lamentava che la corte di merito ritenne illegittimo il licenziamento valutando un’assenza di soli due giorni, laddove nella specie essa si era protratta dal 21 febbraio al 1 “marzo 2001.

Il motivo è infondato, posto che la corte di merito ha adeguatamente motivato sul punto, accertando che nella lettera di contestazione le assenze ingiustificate erano solo due e che, stante il principio della immodificabilità della contestazione disciplinare (ex plurimis, Cass. 16 novembre 2002 n. 16190), non potevano essere esaminate dedotte ulteriori assenze del lavoratore.

La ricorrente non contesta tale ratio decidendi, sicché la censura risulta inammissibile.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.; dell’art. 18 L. n. 300 del 1970; dell’art. 437 c.p.c., oltre ad omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Lamenta al riguardo che la corte di merito ritenne, in contrasto con l’art. 2697 c.c., gravare sulla datrice di lavoro l’onere di provare l’insussistenza del requisito dimensionale ai fini dell’applicazione della tutela cd. reale. In ogni caso lamentava che il giudice d’appello erroneamente non ammise la produzione del libro matricola della società, che era stato smarrito e rinvenuto solo in sede di gravame, né il libro paga, i fogli di presenza e le visure I.N.P.S. relative agli anni 1999-2001, che quali documenti, non soggiacevano alle preclusioni di cui all’art. 437 c.p.c. Evidenziava ancora che, pur volendo ammettere che anche i documenti soggiacciano alla preclusione di cui sopra, nella specie si trattava di documenti formatisi successivamente alla sentenza di primo grado, posto che la copia conforme dei libri paga e dei fogli di presenza, con autentica notarile, era stata rilasciata in epoca successiva.

Lamentava che in ogni caso tale documentazione avrebbe dovuto sollecitare l’esercizio dei poteri ufficiosi da parte del giudice d’appello che, invece, non ne aveva neppure giustificato l’omissione. Il motivo è infondato.

Per quanto concerne la prova del requisito dimensionale ai fini dell’applicazione della tutela reale, questa Corte, a sezioni unite, ha da tempo affermato che essa grava sul datore di lavoro, quale fatto impeditivo del diritto alla reintegra vantato dal lavoratore (Cass. sez. un. 10 gennaio 2006 n. 141, e successiva giurisprudenza).

Quanto all’ammissibilità dei documenti in grado di appello, rileva la Corte che anche tale questione risulta da tempo risolta con l’intervento delle Sezioni unite (sent. n. 8202 del 2005), che, nel ritenere preclusa in secondo grado anche la prova documentale, ha escluso una diversità di disciplina tra le prove costituende e le prove costituite.

Se è poi vero che tale regola non può trovare applicazione per i documenti formatisi successivamente all’introduzione del giudizio, è innegabile che nella specie trattavasi di documenti ampiamente precedenti (riferiti agli anni 1999-2001), a nulla evidentemente rilevando che le copie conformi siano state formate in epoca successiva. In ordine al dedotto smarrimento del libro matricola (ed al suo rinvenimento solo in sede di gravame), la ricorrente non ha, in contrasto col principio di autosufficienza del ricorso, indicato in qual modo ed attraverso quali atti la circostanza sarebbe stata dedotta al giudice d’appello, né produce, od indica la sua esatta ubicazione all’interno dei fascicoli di causa, il dedotto “verbale di denuncia orale di smarrimento”, a tal fine non essendo sufficiente la mera indicazione “prodotto in grado di appello”,pag. 23 ricorso, (Cass. sez. un. 3 novembre 2011 n. 22726).

Quanto all’esercizio dei poteri ufficiosi va detto che essi presuppongono una incolpevole inerzia della parte, laddove nella specie tali documenti erano ben producibili sin dal primo grado del giudizio. Deve peraltro rilevarsi che la corte di merito ha ampiamente motivato il mancato esercizio dei poteri ufficiosi, motivazione che non ha formato oggetto di censura in questa sede.

4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., oltre ad omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Lamenta che la corte territoriale aveva omesso di rivalutare adeguatamente l’istruttoria espletata in ordine alla durata del rapporto di lavoro in questione, da cui il giudice di primo grado aveva erroneamente tratto la conclusione che esso intercorse dal 9 aprile 1999 e non già dal 1 Settembre 1999.

Il motivo è inammissibile richiedendo alla Corte un riesame di fatto delle risultanze istruttorie (ex plurimis, Cass. 6 marzo 2006 n. 4766).

5. Con il quinto motivo la società denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2719 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. per non avere la corte calabrese valutato, limitandosi a condividere le considerazioni al riguardo svolte dal primo giudice, la documentazione sottoscritta dal C. ed attestanti la percezione di varie somme per vari titoli in ricorso indicati. Il motivo è inammissibile, per difetto di autosufficienza, poiché la ricorrente non chiarisce in quali termini e modi la percezione di tali somme avrebbe dovuto comportare la invocata diversa, e minore, quantificazione del credito riconosciuto dal primo giudice.

Il ricorso deve pertanto rigettarsi. Nulla per le spese essendo rimasto il e intimato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.