L’assistenza ad un familiare non grave potrebbe garantire un divieto di trasferimento per il lavoratore
Il lavoratore che assiste un familiare convivente con handicap, anche non grave ed anche se non usufruisce dei permessi previsti dalla legge n.104/92, ha diritto a non essere trasferito.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con sentenza n. 25379 del 12 dicembre 2016, accogliendo il ricorso di una lavoratrice, diretto all’accertamento dell’illegittimità/inefficacia del licenziamento intimatole dal datore di lavoro, in conseguenza della mancata ottemperanza al provvedimento di trasferimento. La lavoratrice riteneva il trasferimento illegittimo, poiché tenuta ad assistere la propria madre affetta da handicap.
Alla Cassazione era stato affidato il compito di chiarire se il diritto a non essere trasferiti sussista, ai sensi della Legge n. 104/92, solo in presenza della necessità di assistere soggetti portatori di handicap grave, o se invece sussista anche quando la disabilità del familiare non sia così grave, a meno che non ricorrano esigenze aziendali effettive così urgenti da imporsi sulle contrapposte esigenze assistenziali.
La Cassazione ha affermato che la disposizione di cui all’art. 33 comma 5 Legge n. 104/92, laddove vieta di trasferire, senza consenso, il lavoratore che assista con continuità un familiare disabile convivente, deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati – alla luce dell’art. 3 Cost., dell’art. 26 Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 sui diritti dei disabili – in funzione della tutela della persona disabile.
Quindi il trasferimento del lavoratore è vietato, anche quando la disabilità del familiare che egli assiste non sia grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura ed il grado dell’infermità psico – fisica del familiare, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte. Nel caso specifico non sussistevano tali esigenze per il trasferimento.